Il "Flagello" del 1783
Fu l’evento
tellurico del 1783, che sconvolse l’intera Calabria e parte della Sicilia, a
modificare radicalmente anche la nostra Piana.
Per meglio valutare gli effetti, oltre agli
scarsi documenti conservati nella Chiesa di S. Martino (RC), ho consultato gli
archivi parrocchiali della vicina Varapodio che riporto qui di seguito:
Era il «die quinta Februarii hora vero decima
nona circiter», scrive il religioso, «ingenti terremotu contremuit fere tota
Calabria, et pars Siciliae, a quo terremotu diruta fuerunt Domus, et aedificia
Urbium, Terrarum, et Regionum, plana facta sunt in diversis, et aspera in vias
planas; valles impletae sunt et colles humiliati, terra in quam plures partes
aperta alibi magnos gurgites aquarum emittebat, et alibi vivos homines
deglutebat, ut deglutivit quendam filium ante oculos miseri patris, ut certe
mihi costat ex eiusdem patris relatione».
(«Erano le ore 13 circa del 5 febbraio, quando
un catastrofico terremoto fece tremare tutta la Calabria e parte della Sicilia;
furono distrutte dallo stesso case, costruzioni delle città, del Circondario e
delle Regioni; in diversi luoghi la terra s’abbassò e le colline s’appianarono;
alcune valli si riempirono e i colli si abbassarono; la terra aperta in
parecchie parti emetteva grandi getti d’acqua, e altrove inghiottiva gli uomini
vivi, come inghiottì il figlio sotto gli occhi del misero padre; ciò mi risulta
certo dalla narrazione fattami dallo stesso genitore».
Pure S. Martino, che sorgeva nella contrada “Amella”,
al centro dell’antica “Vallis Salinarum”,
(La “Ghòra Salinon” - “La Terra delle Saline” dei Bizantini) non fu risparmiato
dal “Flagello”.
Il 5 febbraio 1783, verso le ore 13, rileva il
rev. D. Domenico Mesiano nei registri della nostra Chiesa, «Mortui remanserunt
sub ruinis terraemotus qui hanc eandem patriam destruxit».
Seguono i nomi dei morti, estratti dalle
rovine del sisma e sepolti sotto le macerie della Chiesa parrocchiale: Rosa
Cavaliere di 18 anni, Cristina Ciappina di 33 anni, Domenico Antonio Ciappina
di Graziano di 3 anni, Rosa De Masi, Caterina Mammoliti di 50 anni, Francesco
Antonio Monteleone di Michelangelo di 4 anni, Grazia Pignieri di Domenico di 5
anni, Lucrezia Pignieri di Domenico di 18 anni, Bruno Raso di Girolamo di 3
anni, Grazia Raso di Giuseppe di 5 anni e Carmela Tiani di 22 anni.
Non furono, invece, ritrovate le salme di
Grazia Auddino di 50 anni, Vincenzo Carbone di Pasquale di 7 anni, Concetta
Pacilè di Francesco di 5 anni e Teresa Raso di Giacobbe di 2 anni. L’arciprete
Mesiano prosegue la narrazione della tragica fine delle 21 vittime, tra cui D.
Girolamo Zerbi e il suo servitore Antonio Palumbo di Scilla, Francesco
Mangraviti e figlio, Domenico Marando e Caterina Lentini. Egli stesso, per puro
miracolo, rimase illeso.
Dopo la distruzione anche delle numerose
Chiese, i superstiti di S. Martino abbandonarono lo storico luogo per costruire
ex novo “in campo dicto L’Abbadia” l’amato paese.
Le annotazioni dei parroci della Piana
corrispondono a quelle dei testimoni di altre località.
Così, infatti, lo scrittore francese Francesco
Lenormant nel suo libro La “Magna Grecia”
- La Calabria, vol. 3° - rifacendosi alle relazioni del Dolomieu ed a
quelle degli Accademici di Napoli e del cavaliere Hamilton riporta:
«Bruscamente, a mezzogiorno e mezzo, un
fragore rimbombante più di un tuono violentissimo, salì dalle profondità della
terra, e quasi istantaneamente una scossa, che mai eguale si ricordava fece
traballare il suolo dell’intera Calabria. La scossa durò due minuti, enorme
durata per un terremoto, quantunque in se stessa brevissima. Centoventi secondi
bastarono a non lasciare in piedi per così dire una casa per l’estensione di 60
leghe quadrate circa, ed a seppellire 32 mila abitanti sotto le rovine». Ed
ancora: «Se si prende per epicentro la piccola città di Oppido, alla base del
versante nord-ovest dell’Aspromonte, non lontano dal corso superiore del fiume
Marro, e si descrive intorno a questo epicentro un cerchio di 32 chilometri di
raggio, lo spazio così determinato comprenderà la superficie del paese, in cui
tutte le città e tutti i villaggi furono distrutti».
(Estratto
da: D. Caruso, “La nostra storia” - La Calabria - La “Vallis Salinarum” - Il
mio libro - Gruppo Editoriale L’Espresso - 2012)
https://www.approdonews.it/giornale/il-flagello-del-1783
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