mercoledì 5 febbraio 2020

Il "Flagello" del 1783


 Il "Flagello" del 1783

Fu l’evento tellurico del 1783, che sconvolse l’intera Calabria e parte della Sicilia, a modificare radicalmente anche la nostra Piana.
 Per meglio valutare gli effetti, oltre agli scarsi documenti conservati nella Chiesa di S. Martino (RC), ho consultato gli archivi parrocchiali della vicina Varapodio che riporto qui di seguito:
 Era il «die quinta Februarii hora vero decima nona circiter», scrive il religioso, «ingenti terremotu contremuit fere tota Calabria, et pars Siciliae, a quo terremotu diruta fuerunt Domus, et aedificia Urbium, Terrarum, et Regionum, plana facta sunt in diversis, et aspera in vias planas; valles impletae sunt et colles humiliati, terra in quam plures partes aperta alibi magnos gurgites aquarum emittebat, et alibi vivos homines deglutebat, ut deglutivit quendam filium ante oculos miseri patris, ut certe mihi costat ex eiusdem patris relatione».
 («Erano le ore 13 circa del 5 febbraio, quando un catastrofico terremoto fece tremare tutta la Calabria e parte della Sicilia; furono distrutte dallo stesso case, costruzioni delle città, del Circondario e delle Regioni; in diversi luoghi la terra s’abbassò e le colline s’appianarono; alcune valli si riempirono e i colli si abbassarono; la terra aperta in parecchie parti emetteva grandi getti d’acqua, e altrove inghiottiva gli uomini vivi, come inghiottì il figlio sotto gli occhi del misero padre; ciò mi risulta certo dalla narrazione fattami dallo stesso genitore».
 Pure S. Martino, che sorgeva nella contrada “Amella”, al centro dell’antica “Vallis Salinarum”, (La “Ghòra Salinon” - “La Terra delle Saline” dei Bizantini) non fu risparmiato dal “Flagello”.
 Il 5 febbraio 1783, verso le ore 13, rileva il rev. D. Domenico Mesiano nei registri della nostra Chiesa, «Mortui remanserunt sub ruinis terraemotus qui hanc eandem patriam destruxit».
 Seguono i nomi dei morti, estratti dalle rovine del sisma e sepolti sotto le macerie della Chiesa parrocchiale: Rosa Cavaliere di 18 anni, Cristina Ciappina di 33 anni, Domenico Antonio Ciappina di Graziano di 3 anni, Rosa De Masi, Caterina Mammoliti di 50 anni, Francesco Antonio Monteleone di Michelangelo di 4 anni, Grazia Pignieri di Domenico di 5 anni, Lucrezia Pignieri di Domenico di 18 anni, Bruno Raso di Girolamo di 3 anni, Grazia Raso di Giuseppe di 5 anni e Carmela Tiani di 22 anni.
 Non furono, invece, ritrovate le salme di Grazia Auddino di 50 anni, Vincenzo Carbone di Pasquale di 7 anni, Concetta Pacilè di Francesco di 5 anni e Teresa Raso di Giacobbe di 2 anni. L’arciprete Mesiano prosegue la narrazione della tragica fine delle 21 vittime, tra cui D. Girolamo Zerbi e il suo servitore Antonio Palumbo di Scilla, Francesco Mangraviti e figlio, Domenico Marando e Caterina Lentini. Egli stesso, per puro miracolo, rimase illeso.
 Dopo la distruzione anche delle numerose Chiese, i superstiti di S. Martino abbandonarono lo storico luogo per costruire ex novo “in campo dicto L’Abbadia” l’amato paese.
 Le annotazioni dei parroci della Piana corrispondono a quelle dei testimoni di altre località.
 Così, infatti, lo scrittore francese Francesco Lenormant nel suo libro La “Magna Grecia” - La Calabria, vol. 3° - rifacendosi alle relazioni del Dolomieu ed a quelle degli Accademici di Napoli e del cavaliere Hamilton riporta:
 «Bruscamente, a mezzogiorno e mezzo, un fragore rimbombante più di un tuono violentissimo, salì dalle profondità della terra, e quasi istantaneamente una scossa, che mai eguale si ricordava fece traballare il suolo dell’intera Calabria. La scossa durò due minuti, enorme durata per un terremoto, quantunque in se stessa brevissima. Centoventi secondi bastarono a non lasciare in piedi per così dire una casa per l’estensione di 60 leghe quadrate circa, ed a seppellire 32 mila abitanti sotto le rovine». Ed ancora: «Se si prende per epicentro la piccola città di Oppido, alla base del versante nord-ovest dell’Aspromonte, non lontano dal corso superiore del fiume Marro, e si descrive intorno a questo epicentro un cerchio di 32 chilometri di raggio, lo spazio così determinato comprenderà la superficie del paese, in cui tutte le città e tutti i villaggi furono distrutti».

(Estratto da: D. Caruso, “La nostra storia” - La Calabria - La “Vallis Salinarum” - Il mio libro - Gruppo Editoriale L’Espresso - 2012)

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