La donna calabrese
Fin dall’antichità la
donna è stata considerata in condizioni subalterne e relegata al ruolo
domestico, poiché veniva ritenuta meno capace e meno intelligente dell’uomo.
Gli aforismi rivelano, perciò, una costante misogina:
•’A fìmmana ’ndavi ’i capidi longhi e ’a menti curta.
(La donna ha i capelli lunghi e il cervello corto).
Oggi, avendo la donna
vinto la battaglia sulla parità di
diritti, è crollata la teoria della sua incapacità.
I Romani si
limitavano al censimento delle facoltose e soltanto dal III sec. d. C. Diocleziano ordinò per motivi fiscali la
registrazione delle donne.
La società
maschilista del passato bandiva il gentil sesso dalle cariche civili e
religiose: • All’omu ’a scupetta, a’
fìmmana ’a cazetta.
(All’uomo il fucile, alla donna la calza). Ed ancora:
• Se voi vidìri la bbona massara, guàrdala
quando smìccia la lumera.
(Intenta a lavorare al lume di candela puoi incontrare la
perfetta massaia).
• ’A fìmmana faci e ’a fìmmana spaci ’a casa.
(Le sorti della casa dipendono dal modo di agire della
donna).
I lavori domestici
richiedono tempo e fatica. Pertanto, era giustificato il proverbio di San
Martino (R.C.): • ’A fìmmana chi va’
fora, né tila né lenzola.
(Chi va fuori non trova il tempo per tessere, né per
preparare il corredo).
In qualche centro della Piana di Gioia Tauro si ammoniva:
• ’A fìmmana chi anda, rrùmpici la gamba!
(Punisci con severità
la giovane che va in giro!)
Gli avi giudicavano
le persone dalla loro capacità:
• ’A donna com’è faci li cosi, lu lignu di chi
jè faci li brasi.
(La brace differisce secondo il legno, la donna dalle
proprie attitudini).
Il trattamento
riservato all’uomo differiva da quello della donna:
• I màsculi cu’ meli e ’i fìmmani cu’ feli.
(I maschi col miele e le femmine col fiele).
Il dovere coniugale della donna era la sottomissione al
marito:
• A nudu mu pozzu, a’ mugghjèrima ’a pozzu!
(Con mia moglie posso usare anche violenza!).
Per secoli la donna
ha sopportato sulla propria pelle ogni genere di sopruso e di servilismo e
quando ha raggiunto la sua libertà nessun proverbio è stato coniato a suo
favore. C’è chi ricorda ancora il dramma della nostra Terra, nel momento in cui
gli uomini furono costretti ad emigrare in massa per motivi di lavoro e la
donna rimase a tutela dei Lari familiari.
• Facci non viduta, vali cchjù di centu ducati
’i valuta.
(Una donna ritirata in casa vale più di cento ducati).
• ’A mugghieri jè menzu pani. (La moglie
rappresenta un buon partito).
Per il sesso femminile la bellezza è determinante, anche se:
• Donna barvuta è sempri piaciuta. Ogni
medaglia, però, ha il suo rovescio:
• Ddeu mu ti
lìbara di l’òmani sbani e di’ fìmmani barvuti!
(Il Signore ci liberi dagli uomini imberbi e dalle donne
barbute!)
Avere una bella moglie costituisce motivo di legittimo
orgoglio:
• La brutta quand’è brutta di natura, hai
vògghja pemmu fai lu strica e lava;
la bella quand’è bella di natura, cchjù
sciamparata va’ e cchjù bella pari!
(Per una brutta ogni stropicciamento si rivela inutile,
mentre una bella piace anche se semplice). • Cu’ ndavi pocu dinari sempri cunta; cu’ ndavi ’a mugghjeri bella sempri
canta!
(Chi ha poco danaro conta sempre; chi ha la moglie bella
sempre canta).
E’ bello ciò che va a genio, non il danaro: • Gèniu fa’ bellizzi e no’ dinari!
Ma attenzione, la donna è come il felino domestico che più
l’accarezzi e più solleva la coda: • ’A
fìmmana è comu ‘a gatta: cchjù l’accarizzi e cchjù jìza ’a cuda! Non
bisogna mai credere alle lacrime della donna, al giuramento dell’uomo e al
cavallo che suda: • A donna chi ciàngi,
omu chi giura e cavadu chi suda no’ cridìri mai. Senza più discriminazioni,
in famiglia può finalmente regnare una felice convivenza purché l’uomo non si
faccia sottomettere.
Nella nostra società
ci sono tanti gravi problemi e la donna, non più femmina, ci può dare una mano a risolverli. Lo scrittore latino Aulo Gallio affermava:
Mulier malum necessarium. (La donna è un male necessario).
Vogliamo, dunque, bene alle nostre donne che «ci piacciono
perché sono meravigliose», come sosteneva Achille Campanile, «o ci sembrano
meravigliose perché ci piacciono?».
Domenico Caruso
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