giovedì 29 dicembre 2016

Storia e Folklore Calabrese (Nuova edizione)


“Storia & Folklore Calabrese”, arriva la nuova edizione 

di Domenico Caruso

Nel 1988 è nato il libro Storia e Folklore Calabrese per il Centro Studi S. Martino (RC), edito a mie totali spese dalla Litotipografia Colarco di Taurianova.
Il computer cominciava a sostituire le vecchie macchine da stampa e la composizione, pur se facilitata, è stata in parte artigianale.
Comunque le 250 pagine, riccamente illustrate da foto in bianco e nero e da bozzetti dell’artista Pasquale Musolino, hanno incontrato il favorevole giudizio di studiosi e di pubblico. Oggi l’opera è oggetto di antiquariato.
La copertina a colori riporta l’immagine del Gruppo folkloristico, creato da me e da mia moglie in occasione della celebrazione dell’anno internazionale del fanciullo avvenuta presso le scuole elementari del luogo il 10 novembre1979.
Sotto la foto vi è la sintesi del libro: “Usi e costumi; canti, aneddoti, detti e proverbi; contrasto d’amore; indovinelli ed arguzia popolare; eventi e ricorrenze; personaggi, paesi e aspetti caratteristici della nostra Terra”.
Dopo quasi trent’anni l’opera, completamente rinnovata, viene stampata – per mio conto – dall’ “Etabeta” di Arcore (MB) in Lombardia.
Turpe est in patria vivere et patriam ignorare” aveva sentenziato il celebre vecchio scrittore latino Plinio.
Il libro si apre con la storia della Calabria “grande e amara”. Se la natura è stata generosa con la nostra Terra, di tutt’altro avviso si è dimostrato l’uomo.
Gli studiosi hanno sempre messo in risalto l’aspetto fisico della nostra Terra che prevale su quello umano. Natura e cultura non riescono mai a fondersi: il processo di mutamento è abbastanza lento rispetto ad altre zone in cui la civiltà industriale si è sviluppata in modo stabile e graduale.
Circa 250 milioni di anni or sono la Calabria faceva parte di un vasto Continente chiamato Tirrenide, che a metà del Terziario sprofondò nel mare.
Durante il Paleolitico inferiore è testimoniato l’homo erectus. Segue l’homo sapiens. Il graffito del bos primigenius risale a 12.000 anni fa. I primi abitatori della Regione, nella seconda metà del V secolo a.C. furono gli Osci. Dalla Grecia, quindi, giunsero i Pelasgi. Così Giovanni Conìa descrive le migrazioni e le dominazioni straniere:
          Nui simu ‘ntra l’Italia
         e fummu Greci puru:
         e quanti ‘nci ‘ndi furu
         genti strani!
Greci, Bruzi, Romani si sono succeduti fino all’avvento del Cristianesimo e poi Barbari, Arabi, Normanni che hanno lasciato le loro tracce anche nella lingua.
La seconda parte del libro comprende il miglior folk della Regione, dalla Calabresella al Contrasto d’amore arricchito delle ultime scoperte.
Le ricorrenze ed i riti religiosi, la devozione a Maria nella Piana trovano ampio spazio. La donna, la famiglia, il tempo e il calendario agricolo, il lavoro e i detti giuridici fanno riscoprire il nostro passato.
Aneddoti e arguzia popolare, fatti e “fattaredi” forniscono un momento di sano relax.
Un selezionato dizionarietto della Piana, che comprende pure i toponimi dei 33 Comuni conclude l’opera.
E’ nostro compito salvare il nostro dialetto e le nostre tradizioni, strumenti di cultura e di libertà per la formazione autonoma di ognuno.

  • - Il 29 dicembre 2016 - http://approdonews.it/giornale/?p=245255

martedì 6 dicembre 2016

Sinopoli



Viaggio alla scoperta di Sinopoli

Redazione - Il 6 dicembre 2016
di Domenico Caruso

D’ogni incanto. Sinopoli, risplendi / e il verde degli ulivi t’incorona: / èrte e pianure in armonia distendi. / Sulle mie labbra un canto oggi risuona.
(Arcid. Luigi Forgione)

Un po’ di storia
Sinopoli Inferiore è di origine greca (sun e polis potrebbero significare centro o unione di città), mentre Sinopoli Nuovo o Superiore (capoluogo) ebbe la sede amministrativa dopo il cataclisma del 5 febbraio 1783. Quest’ultimo era un borgo dell’attuale Sinopoli Inferiore e si chiamava Case Pinte o Madonna.
Nel 951 Hassan-Ibn Alì, Emiro di Palermo, compì in Calabria una sanguinosa scorreria, riuscendo a scacciare i Bizantini e costringendo gli abitanti della costa a rifugiarsi nei castelli di Sinopoli, Oppido, Seminara e S. Cristina.
Nel 1058 Ruggero conquistò Reggio ed espugnò i castelli di Sinopoli, Oppido, Cinquefrondi, Mileto e di molti altri luoghi. Nel 1060 Roberto fu proclamato Duca di Calabria con il suo dominio a Mileto.
Il feudo di Sinopoli passò in dote da Roberto a Fiandria, secondogenita del conte Ruggiero e sposa di Enrico, figlio del Marchese Manfredi.
Sotto gli Angioini la Calabria fu divisa in Citeriore e Ulteriore (di quest’ultima fece parte Sinopoli). Morto Federico (1250) e poi Corrado, rimase erede al trono Manfredi (essendo Corradino fanciullo) e come viceré Pietro Ruffo.
Nel corso dei secoli la famiglia Ruffo si divise in diversi rami: capostipite di Sinopoli fu Fulco, rimatore della Scuola Siciliana (fratello di Pietro, conte di Catanzaro). Questi sposò Margherita, figlia di Carnelevario di Pavia, possessore tra l’altro della signoria di Sinopoli (che diede in dote alla figlia), mentre il titolo di Conte fu concesso (1335) a Guglielmo Ruffo.
Fulco fortificò il locale castello che nel 1256 Federico Lancia (zio di Manfredi) tentò più volte di espugnare. Cedette soltanto quando Manfredi s’impossessò della Calabria e della Sicilia.
Dopo la morte di quest’ultimo e di Corradino fu la volta di Carlo d’Angiò il quale, scacciato dalla Sicilia (1282), fortificò castelli e città concentrandosi col suo forte esercito a S. Martino e lasciando forti schiere di uomini nel castello di Sinopoli. Intanto Re Pietro d’Aragona, impadronitosi della Sicilia, mandò degli uomini tra Sinopoli e Solano per ostacolare gli Angioini, quindi raggiunse Reggio (1283) dove fu accolto festosamente. Morto costui (1286) successe al trono di Sicilia Giacomo e a quello d’Aragona Alfonso. Questi trattò la pace con gli Angioini per cui, offeso, Gioacchino il 15 maggio 1289 occupò Reggio ed espugnò i castelli di Sinopoli e di S. Cristina.
Sinopoli per la sua posizione privilegiata (al centro dei paesi della falda dell’Aspromonte), fino al termine del XVI secolo, ebbe una parte di primo piano negli avvenimenti storici ed economici calabresi.
La contea di Sinopoli, governata dai Ruffo, confinava col distretto di Reggio fino a Solano e Bagnara e col tenimento di Seminara.
Perduti e – quindi – riconquistati i suoi domini, il Conte Carlo comprò Bagnara (1419) dalla Regina Giovanna divenendo il più potente feudatario della Regione.
Nelle alterne vicende, i Ruffo non parteciparono alla Congiura dei baroni contro i Francesi, presero parte alla battaglia di Terramala al servizio degli Aragonesi, riuscirono a mantenere il comando di Sinopoli che godette un certo benessere. Nel 1533 il Conte Paolo Ruffo acquistò dal cognato il feudo di Scilla ed amministrò con competenza e abilità come risulta dall’inventario dei beni del 1565. Fra le opere del periodo ricordiamo la costruzione del Palazzo (1530-1543), rimasta incompleta per il trasferimento dei Ruffo nel castello di Scilla.
Il cambiamento politico e religioso (1636), il brigantaggio, la spagnola o pestilenza segnarono la decadenza dei Ruffo e di Sinopoli, ormai definitiva con la cessione del regno di Napoli agli Austriaci.
Con il ritorno degli Spagnoli (1743) arrivò anche il terribile morbo della peste e, quindi, il Flagello del 5 febbraio 1783 che oltre a radere al suolo anche Sinopoli, procurò in quella zona 2.048 vittime.
Con la cessazione di ogni diritto per effetto delle leggi eversive della feudalità (1806), Sinopoli venne incluso nel governo di S. Eufemia (1807), divenendo in seguito Comune autonomo. Anche il terremoto del 1908 colpì in modo grave il paese. Sono sfuggite alle tragedie naturali le opere d’arte che si possono ammirare nelle due chiese parrocchiali.

Leggende e curiosità
Sinopoli e le Amazzoni
 Il popolo delle Amàzzoni, secondo la mitologia greca, era composto di sole donne guerriere che si recidevano il seno per meglio tendere l’arco e combattere. (Il termine a-mazos significa, appunto, senza mammella).
Per provvedere alla continuità della stirpe, catturavano uomini dei paesi vicini che poi uccidevano; la stessa sorte era riservata ai figli maschi. Erano allevate soltanto le femmine alle quali veniva bruciata la mammella destra.
Le origini di Sinopoli, scrive Michele D’Agostino, stando alla tradizione risalirebbero al 3000 a.C., al tempo in cui a Marpesia (regina delle Amazzoni) successe nel regno la giovane figlia Sinope o Sinopia la quale fondò la capitale all’interno tra le foreste e un anfratto ai piedi dell’Aspromonte.
In suo omaggio, la città venne chiamata Sinope Polis e più semplicemente Sinopolis. Il centro originario, Sinopoli Greco, è oggi ridotto a poche case, essendo stato distrutto varie volte da cataclismi. (Da: Sinopoli capitale delle Amazzoni – Stab. Tip. “La Voce della Calabria” – RC, 1971).

Personaggi principali
Tra le persone illustri ricordiamo:
1 – Antonio Capua (1921-1971) Avvocato e giornalista, 2 – Vincenzo Capua (1886-1916) Giornalista. In Argentina fondò e diresse “L’Araldo Italiano”, settimanale politico e letterario. 3 – Nicola Carbone (n. 1510) Poeta, scrittore e giureconsulto. Tra le opere: “La tragedia della Passione di Cristo”.   4 – Costantino Repaci Junior (1910-1948) Autore di pubblicazioni medico-scientifiche. 5 – Filippo Repaci (1882-1953) Medico chirurgo e scrittore. Si distinse anche in trincea nell’ospedale da campo durante la guerra 1915-18. 6 – Ernesto Trimarchi (1889-1934) Poeta e scrittore. 7 – Domenico Ventra (1857-1929) Medico, specializzato in psichiatria. Autore di pubblicazioni scientifiche.

Approfondimenti
L’antica Università di Calabria
Il Cardinale Basilio Bessarione (1408 – 1472), uno dei maggiori promotori del Rinascimento italiano, tentò senza successo di realizzare sotto Papa Eugenio IV l’Università della Calabria, con gli stessi moderni criteri adottati per l’Università di Oxford.
Il suo Studium Litterarum Graecorum avrebbe dovuto servire da tramite fra la cultura greca e quella latina al fine di raggiungere, anche per questa via, l’unità spirituale tra la Chiesa di Roma e quella Orientale.
Al prelato umanista bizantino, consapevole delle nostre grandi tradizioni religiose e culturali, era riservato il potere di scegliere il rettore-abate dello Studium Calabriae. Quest’ultimo doveva possedere particolari requisiti e tenere cattedra nel monastero di San Luca di Sinopoli, sede centrale dell’Università a cui facevano capo i vari monasteri basiliani.
Ancora oggi gli abitanti di Sinopoli Vecchio o Greco chiamano l’Università le rovine dei monasteri basiliani di San Luca e di San Bartolomeo di Trigonio.
L’opera fu, quindi, ripresa e istituita da Papa Niccolò V (1397 – 1455), il fondatore dell’attuale Biblioteca Vaticana. Suo maestro di greco e di filosofia pare fosse stato Fra Girolamo, di origine incerta (napoletano o di Sinopoli), agostiniano, divenuto vescovo di Oppido il 1° settembre 1449. Con detto prelato ebbe termine ad Oppido il rito greco tramandato da alcuni secoli.
Una prova dell’Università calabrese è costituita dal Liber Visitationis (1457 – 1458) del dotto e santo umanista Atanasio Calceopulo, dove risulta lo stato in cui versava ogni monastero basiliano e dal quale emerge la necessità da parte dei religiosi di erudirsi nelle lettere greche.
Dall’ambiente basiliano della nostra Terra, in particolare dalla zona vicina di Seminara – Oppido e da quella di Gerace, erano usciti insigni maestri come Nicolò da Reggio, Barlaam e Leontio Pilato di Seminara, Giovanni Tirseo e Simone Atumano vescovi di Gerace.
Non a caso il Petrarca consigliò al poeta ravennate Giovanni di Conversino di recarsi in Calabria, anziché a Bisanzio, per apprendere la lingua e la cultura greca.
Anche il Marafioti parla di «un castello, nelle radici dell’Appennino, edificato fuori un tumulo, posto fra due fiumi abbondanti di trote e anguille, chiamato Sinopoli, in luogo pendente e aria molto salubre, il che si conosce dalla salute delle persone; è adornato di molti nobili uomini dottori in legge, filosofia e medicina […] In quel castello nacque il beato Paolo, monaco dell’ordine di S. Francesco d’Assisi, il cui corpo riposa nel monastero di Nicotera…».
In precedenza, soltanto Cassiodoro (490-583 ca a.C.), primo ministro dell’imperatore eodorico, alla fine della sua carriera, tornando alla città d’origine Scolacium (antica Skylletion e odierna Squillace) aveva fondato il Vivarium, la prima vera università cristiana dell’Occidente.
A Sinopoli nel 1535 il conte Paolo Ruffo rese gli onori e ospitò Carlo V, l’imperatore del Sacro Romano Impero e re di Spagna che nella crociata contro i Turchi, con l’aiuto di molti nostri uomini tra cui diversi baroni e il conte di Briatico, aveva conquistato Tunisi e liberato 16.000 schiavi cristiani.

Bibliografia essenziale:
1 – Antonio Luppino, Il mio bel paese – E.D.L. (Laruffa) – Reggio Cal., 2000;
2 – Girolamo Marafioti, Croniche et antichità di Calabria – Padova, 1601.

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mercoledì 9 novembre 2016

Feste, tradizioni e culto di S. Martino

Feste, tradizioni e culto di San Martino

Avranno inizio domani, nel nostro omonimo paese, i festeggiamenti in onore di S. Martino riconosciuto come modello europeo di carità.
Il comandamento nuovo di Cristo è rappresentato dalla sacra effigie nella nostra Chiesa parrocchiale: un giovane cavaliere, poco più che ventenne, che dall’alto del cavallo taglia con la spada il suo mantello per dividerlo con un povero. Dall’amore per il prossimo è nata la venerazione di Martino. Tralasciando la storia esemplare del Santo che contrastò l’eresia ariana, al punto da essere definito “vir Dei” (uomo di Dio) dal suo biografo e di essere considerato il “Tredicesimo Apostolo”, mi soffermo sulle tradizioni che l’11 novembre comporta.
Un tempo, in tale periodo considerato una sorta di capodanno contadino, si mangiava e si beveva oltre misura prima di affrontare dal 12 del mese la penitenza e il digiuno che precedono il Natale (“Quaresima di S. Martino”). Ad incoraggiare il momento di baldoria era la conclusione delle attività agricole legate all’autunno, come pure il clima più mite (“l’estate di S. Martino”).
L’11 novembre si rinnovava la “sagra di S. Martino”, che consisteva nel modificare o chiudere i contratti agrari; si spillava il nuovo vino; si traslocava (“far S. Martino”).
Nel giorno stesso (definito “endegàri”) i contadini, da alcuni segni metereologici, prevedevano il tempo per il resto dell’inverno.
Numerose figurano le tradizioni legate alla festa di S. Martino, in modo particolare quelle riferite all’infanzia. Il grande falò della Germania è preceduto dai bambini con in mano lanterne colorate; a Malta viene regalato ai piccoli un sacchetto di frutta; a Venezia i bimbi, cantando una simpatica filastrocca e battendo pentole e coperchi, vanno di casa in casa per qualche monetina o dolcetto. Nel Veneto si prepara il dolce di S. Martino, un biscotto di pasta frolla con la forma del Santo Cavaliere.
In Sicilia si dice: «Quandu ’nci su’ sordi ’ntro cilicchinu è sempri Natali, Pasca e San Martinu». (Con i soldi nel borsellino è sempre festa). Nell’isola è il periodo del vino novello e del maiale. A Palermo si celebra il Santo dei poveri con il rito dei biscotti inzuppati nel moscato di Pantelleria. I ragazzi sfilano per le strade portando ceste di “pani di S. Martino”. Mostre mercato e degustazione di prodotti tipici si svolgono nel messinese. Nella frazione S. Martino del Comune di Spadafora si svolgono sfilate di cortei storici.
Numerose sono le leggende, i detti e i proverbi legati al Santo. Dal “martin pescatore” alla celebre “cappa” (dalla quale derivano i termini “cappella” e “cappellano”) fino al “martinet” (frusta che si calava dal camino per i piccoli monelli).
Tra i proverbi segnalo: ◙ Per S. Martino ogni mosto è vino. ◙ Chi vuole fare buon vino zappi e poti a San Martino. ◙ A S. Martino si lascia l’acqua e si beve il vino. ◙ Oca, castagne e vin ten tût pe’ San Martin. ◙ Chi non gioca a Natale, / chi non balla a Carnevale, / chi non beve a San Martino / è un amico malandrino. ◙ L’estate si S. Martino dura tre giorni e un pocolino.
Nella “Legenda Aurea” di Jacopo da Varazze si narra che Martino, dopo aver donato la tunica ad un mendicante, non ebbe il tempo di indossarne un’altra prima di rivestire i paramenti sacri per la celebrazione della Messa. Al momento dell’elevazione il Signore fece scendere sulle braccia nude del suo devoto per glorificarlo un globo di fuoco.
L’imponente statua in legno della nostra Chiesa è opera dell’illustre scultore Don Francesco De Lorenzo (1807-1866) da Varapodio (Reggio Cal.). Si racconta che il sacerdote, dopo aver impiegato oltre tre anni per eseguirla, si fosse tanto affezionato alla sua creatura da contemplarla notte e giorno. Perciò, quando i sammartinesi che l’avevano ordinata si recarono a ritirarla, l’artista dal balcone invocava a gran voce Martino perché non si separasse da lui. E fu tale il dolore provato nel vederlo allontanare che da lì a poco s’ammalò e presto andò a raggiungerlo in Cielo per ammirare in eterno il Suo vero volto radioso.
Il fervore del nostro paese per S. Martino non è mai venuto meno, come testimonia mio padre Rocco Caruso (1904-2000) nel suo scritto del 1959:
«La tradizione storica della festa nell’anno 1917 soltanto per volere del Santo non si spezzò. Infatti, il 10 novembre di quell’anno il sig. Girolamo Muratori, allora delegato sindaco del paese, un po’ turbato per il furioso incalzare della guerra mondiale, aveva stabilito di sospendere la celebrazione. Ma S. Martino gradiva che le anime, nel tempo a lui dedicato, potessero riconciliarsi con Dio chiedendo perdono dei loro peccati ed apparve al sindaco per invitarlo ad esaltare la Sua giornata. Nella notte (come si tramanda per S. Severino – vescovo di Colonia – e S. Ambrogio che nel medesimo istante faceva vedere la Sua gloriosa ascesa al Cielo), si presentò anche al sig. Vincenzo Romeo, benestante, molto devoto al Santo e capo del Comitato per i festeggiamenti. Mentre quest’ultimo stava all’aperto, nel suo fondo “Chiusa-Ciani”, scrutando il cielo che diveniva minaccioso, fu abbagliato da una luce che l’indusse ad inginocchiarsi. Riavutosi, alzò la testa per esaminare il fenomeno e vide dinanzi a sé un cavaliere, contraddistinto da un’aureola. Il misterioso personaggio lo esortò, quindi, a prestare la sua opera affinché la festa patronale si svolgesse come per il passato. Scomparsa la visione, il Romeo si sollevò da quell’atteggiamento di adorazione e sconvolto si portò a casa del sindaco per riferire l’accaduto e stabilire sul da fare. Ma con grande meraviglia, giunto dal Muratori, trovò il primo cittadino inginocchiato dinanzi all’immagine del Santo che implorava la benedizione. Entrambi raggiunsero il rev. don Giulio Celano (1875-1945), per 45 anni parroco del paese e, dopo aver esposto i fatti delle singole apparizioni, decisero di aprire quella sera stessa la chiesa e al suono delle campane invitare i fedeli alla preghiera, in segno di pentimento e di omaggio all’inclito Santo».
«Laddove è il nome di Cristo, Martino è in auge», sosteneva Venanzio.
In Francia, alla fine del secolo scorso, ben 3.675 località di culto venivano posti sotto l’invocazione del Santo. In Ungheria, Belgio, Olanda, Inghilterra, Germania, Spagna, Portogallo, Italia figurano numerosi santuari e chiese dedicati al Santo.
Con il diffondersi del Cristianesimo, anche negli altri continenti venne introdotto il culto di S. Martino.
Cristoforo Colombo, approdando nelle Antille, battezzò due nuove isole con il nome del Santo (l’isola Saint-Martin e la Martinica, oggi della Francia). Negli Stati Uniti d’America sorgono diverse chiese e l’abbazia di S. Martino nello Stato di Washington.
Con il suo esempio, Martino ha affascinato gli uomini di tutti i tempi. Non soltanto le leggende e i luoghi di culto, ma anche la letteratura e l’arte ne hanno esaltato la figura e l’opera.

Bibliografia essenziale:
D. Caruso: “Martino di Tours” – Il Santo della Carità – Centro Studi “S. Martino” – S. Martino-RC – Novembre 2007.

Redazione - 9 novembre 2016
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martedì 23 agosto 2016

Alla scoperta di Seminara



REGGIO CALABRIA
Viaggio alla scoperta di Seminara

redazione  -  Il 23 agosto 2016
di Domenico Caruso

Un po’ di storia
Si ritiene che Seminara avesse avuto origine su un’antica rocca nell’VIII secolo dai monaci Basiliani scampati dalla persecuzione dell’imperatore di Bisanzio, Leone III l’Isaurico.
Ivi si rifugiarono nel 951 dei profughi di Tauriana (distrutta dai Saraceni), i quali portarono il culto della Madonna della Romania, un’effigie che – salvata da un incendio – venne ritrovata nel 1010 per essere collocata nel Santuario ad essa edificato. Nel XIII secolo Seminara fu elevata a Università con giurisdizione su Palmi. Munita di possenti mura di cinta, nel XVI secolo divenne la più importante e popolosa città della Calabria Ultra.
Contava numerosi monasteri e chiese, un ospedale, un Monte di Pietà, una sinagoga, accademie culturali e realtà industriali. Pertanto, divenne meta di artisti e letterati; il 3 novembre 1535 ebbe anche la visita dell’imperatore Carlo V.
A lungo contesa da Normanni, Svevi ed Angioini, conservò i benefici derivati dall’essere demanio regio, ad eccezione del breve periodo (1410-1420) che fu dominata dalla famiglia Ruffo. Divenuta, quindi, feudo dagli Spinelli con Carlo I, riebbe il privilegio del demanio.
I terremoti del 1783 e del 1908 la rasero al suolo: ricostruita altrove (dopo il primo sisma), perse i più rappresentativi tesori architettonici.
Al riordino amministrativo del 1799 voluto da Championnet, Seminara fu a capo del dipartimento della Sagra. Nel 1807 rientrò nel governo di Palmi e nel 1811 divenne Comune autonomo.

Personaggi illustri
Bernardo Barlaam (1290-1348) – Monaco, teologo, astronomo e matematico. Fu maestro di greco di Petrarca, Boccaccio e Paolo Perugino. Morì ad Avignone.
Domenico Grimaldi (1734-1805) – Agronomo di fama internazionale, economista e filosofo. Introdusse il nuovo “frantoio alla genovese”.
Marcantonio Leone (1564-1627) – Teologo della Controriforma. Fondò il Monte di Pietà nella città.
Vincenzo Marzano (1865-1912) – Letterato e poeta, amico del nostro latinista Francesco Sofia Alessio. Collaboratore di giornali e riviste.
Leonzio Pilato (1310-1364) – Allievo di Barlaam. Chiamato a Firenze dal Petrarca nel 1360. Tradusse l’Iliade e l’Odissea dal greco al latino. Morì durante un naufragio in prossimità di Venezia.
San Filoreto (1020-1070) – Asceta nel Monastero di S. Elia (Palmi).

Luoghi di culto
Basilica Santuario della Madonna dei Poveri – Riedificata nel 1930, dopo il terremoto del 1908 che l’aveva distrutta. Di stile romanico, all’interno conserva la statua lignea della Vergine (v. in seguito). Pregevole è anche la Madonna col Bambino (Scuola del Gagini).
Chiesa di S. Michele in stile barocco. Ricostruita dopo il sisma del 1783.
Chiesa di S. Marco Evangelista – Fino al 1880 ospitava la collegiata. Costruita dopo il 1783 nel sito dell’antica Chiesa dei Minori Osservanti sotto il titolo di Santa Maria degli Angeli. Nella stessa si custodiscono il “palio” e i “Giganti” di cartapesta.
Chiesetta di S. Antonio dei Pignatari – A circa un Km sulla strada che conduce a Castellace.
Chiesetta dell’Ecce Homo dei Cappuccini – Nella parte alta della città. Edificata nella seconda metà del cinquecento, sopravvissuta ai vari sismi, venne danneggiata da un incendio doloso nel 1976.

La Madonna nera
A Seminara si conserva la più antica scultura lignea del Meridione, la “Madonna Nera dei Poveri”. Portata in Occidente dai monaci bizantini nell’ottavo secolo, fino al 951 fu venerata a Tauriana. Dopo la distruzione della città magnogreca dai pirati agareni, la straordinaria immagine trovò la sua collocazione a Seminara. Il primo documento ufficiale dell’evento risale al 1325. La Santa Vergine, alta 92 cm, tiene sul braccio destro un bambino e poggia su un trono laminato in oro. Salvata due volte, nel 1783 e nel 1908, dai terremoti che distrussero la città, ricevette la visita di re e imperatori come il normanno Ruggero II, Ferdinando II di Spagna e Carlo V. Dal 10 al 15 agosto di ogni anno migliaia di pellegrini giungono da ogni parte per rendere omaggio alla prodigiosa immagine.
Diverse leggende tramandano il suo ritrovamento a Tauriana, dov’era stata nascosta per sfuggire alle feroci milizie musulmane. In una di queste storie si narra che, durante la settimana santa, alcuni cittadini di Seminara erano intenti a raccogliere erbe selvatiche nella campagna circostante quando rinvennero la statua della Madonna. Avvisarono dell’evento i loro concittadini, i quali inviarono sul posto i più notabili del luogo a prelevarla. Ma il simulacro si rivelò tanto pesante da non potersi sollevare. Tentarono l’impresa i più umili (“i poveri”) e la statua, divenuta miracolosamente leggera, fu portata a Seminara.
Il culto della sacra effigie si estende dalla Calabria Meridionale alla Sicilia Orientale.
Due altre Madonne Nere sono celebri in Italia, quelle di Oropa e di Tindari.

Manifestazioni civili e religiose
Oltre ai solenni festeggiamenti in onore della Madonna dei Poveri vi sono, con più modesti preparativi ma con rinnovata devozione, quelli di S. Mercurio patrono (25 novembre); S. Antonio (ultima domenica di giugno); Madonna del Carmine (16 luglio); S. Anna (26 luglio) nell’omonima frazione; Maria SS. Addolorata (III domenica di agosto) nella frazione Barritteri; S. Rocco (III domenica di settembre).
Fra le cerimonie civili vanno ricordate il raduno di complessi bandistici regionali durante l’estate e la rassegna concertistica di dicembre.

Il corteo storico di Carlo V
La rievocazione, nella prima decade di agosto (decorrenza non annuale), dell’ingresso dell’imperatore Carlo V di ritorno dalla campagna d’Africa (avvenuta il 3 novembre 1535) si svolge con un imponente corteo di oltre cento figuranti in sfarzosi abiti del ’500 spagnolo, unitamente a giostre con cavalieri e spadaccini, animali e armate che percorrono il viaggio del passato d’incomparabile suggestione.

Leggende e curiosità
L’Obelisco Basiliano, edificato nel X secolo con l’arrivo dei monaci basiliani, si presenta a pianta quadrata ed è formato da mattoncini. In alto è collocata una colonna in cima alla quale vi sono una sfera e una croce in ferro.
I Giganti – Durante la processione della Madonna dei Poveri (14 e 15 agosto) si esibiscono per le vie cittadine al suono dei tamburi i Giganti Mata e Grifone, conservati nel Palazzo Comunale. 

Le ceramiche artistiche
Vi sono diversi forni per la lavorazione artigianale della ceramica dalle forme originali. Si producono fiasche antropomorfe, vasi, maschere grottesche ed altri oggetti che vengono venduti nei vari paesi.
Ho avuto modo di conoscere alcuni artisti essendo stato segretario delle scuole elementari della città durante l’anno scolastico 1971/72.

Per concludere
Nel 1342 ad Avignone Francesco Petrarca conobbe Barlaam e, divenuto suo discepolo, si adoperò presso Papa Clemente VI a far nominare il maestro vescovo ed assegnargli la Diocesi di Gerace. Appresa la fine, così lo ricorda:
«La morte mi ha privato del mio Barlaam. Ma, a dir vero, io stesso me ne ero privato. Non mi accorsi che l’onore si sarebbe risolto in un mio grave danno. Difatti, aiutandolo a diventare vescovo, persi il maestro con il quale avevo cominciato a studiare con fiduciosa speranza». (Familiares, XII, 2.7)

http://approdonews.it/giornale/?p=232117