lunedì 17 settembre 2012

Gerhard Rohlfs

                                                                 Incontro con Rohlfs

                                           Ricordo di Gerhard Rohlfs

 Sono trascorsi 26 anni dal giorno in cui a Tubinga, in Germania, concludeva la sua laboriosa esistenza l’illustre studioso che, più di ogni altro, amò la nostra Terra: Gerhard Rohlfs. Era il 12 settembre 1986 ed in tutto il mondo si parlò della scomparsa del grande maestro di grecanico, che dal 1921 non tralasciò  d’interessarsi del nostro glorioso passato. Lo conferma la dedica apposta dallo stesso nel Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria - (Longo Editore - Ravenna, 1977), che riporto:                
A VOI
FIERI CALABRESI
CHE ACCOGLIESTE OSPITALI ME STRANIERO
NELLE RICERCHE E INDAGINI
INFATICABILMENTE COOPERANDO
ALLA RACCOLTA DI QUESTI MATERIALI
DEDICO QUESTO LIBRO
CHE CHIUDE NELLE PAGINE
IL TESORO DI VITA
DEL VOSTRO NOBILE LINGUAGGIO.
 Tutti gli anni, ad eccezione della parentesi bellica, Rohlfs raggiunse i nostri paesi per  approfondire la conoscenza delle nostre tradizioni. Fu così che l’8 aprile 1979, presso la Biblioteca Comunale di Polistena, avvenne il mio primo incontro. D’allora gli amichevoli rapporti epistolari col celebre glottologo, che aveva già incluso il mio nome nel suo Dizionario, non vennero mai meno. Diverse volte lo scrittore m’interpellò nei riguardi dei suoi studi sul dialetto della nostra zona e per ogni opera pubblicata mi fece dono in anteprima delle pregevoli bozze di stampa. Ma ecco qualche cenno biografico.
 Nato il 14 luglio 1892 a Berlino, giorno della festa nazionale francese, Rohlfs interpretò questa data come una predestinazione fatidica “per una futura carriera romanistica”. Dal genitore, che possedeva uno dei più vasti vivai di Berlino, Gerhard apprese la vocazione per le piante prima che per le lingue straniere, avvenuta verso i 17 anni. Il corso di studi medi a Coburgo fino a detta età non era stato esemplare. L’improvviso e rapido mutamento fu una vera fortuna per i popoli di lingua neolatina: ormai primus omnium, compiva splendidamente la sua formazione universitaria. Dal 1914 ebbero inizio i grandi viaggi di studio  e furono cinquanta le giornate che il ricercatore allora consumò nel visitare 170 paesi fra Svizzera e Puglia: «Viaggiando per tre quarti a piedi, con lo zaino sulle spalle, frequentando le strade battute dall’umile gente, soffermandosi e familiarizzando nelle osterie e nelle trattorie di piccoli paesi interni, dormendo in piccoli alberghi, sempre interessato alle parlate locali di tutta l’Italia visitata». Nascevano le sue prime scoperte e si formavano i suoi primi convincimenti. Come lo stesso Gerhard ebbe ad annotare: «Conversando con i contadini, fui sorpreso dall’incredibile varietà dei dialetti italiani».
 Nei suoi viaggi in Calabria, avvenuti a distanza di tempo, Rohlfs individuò come motivo essenziale «la necessità che la Regione venisse redenta attraverso la riconquistata dignità di popolo a seguito della riscoperta dei valori culturali regionali da parte dei suoi abitanti. E lui, Gerhard Rohlfs, era felice di sentirsi il corifeo di una tale rinascita». Sono in molti, specialmente fra gli anziani, a ricordare i giorni in cui il professore tedesco a dorso di mulo raggiungeva i centri sperduti calabresi - come Roghudi e Bova - per non fare disperdere le antiche usanze e la parlata di quella gente.
 Rohlfs difese sempre il prestigio della nostra Regione. Nel 1921, ad esempio, dopo essere giunto nei pressi di Cosenza, avendo potuto constatare il contrasto tra la pessima fama e la reale situazione del vivere civile dei calabresi, così scrisse in un articolo apparso in Germania: «Calabria! Quali foschi e raccapriccianti ricordi non si destano in Germania al pronunziare del nome di questo estremo ed inaccessibile nido del brigantaggio! Quale ripugnanza ed orrore non persistono tuttavia, anche a Milano e a Roma, per questa terra famosa, dolorante e malnata; così miseramente ed ingiustamente dallo Stato negletta… In questa Terra infiltrata della cultura di parecchi secoli, e in cui tante nazioni si avvicendarono l’una dopo l’altra, ogni fiume, ogni pietra, ogni paesello annidato su di una rupe rappresenta qualche cosa piena di memorie storiche; e da tutta la superficie sua spira come un soffio di antico e venerabile tempo».
 La generosità di Rohlfs non ebbe mai limiti; prima di morire - infatti - così pregò il dott. Salvatore Gemelli di Anoia Superiore: «Mi saluti l’Italia. Mi saluti gli amici della Calabria. Addio!». E l’affezionato dottore, scomparso a Locri qualche anno dopo il professore, volle ricordare l’amico scrivendo (“Una vita per l’Italia dei dialetti” - Gangemi Ed.,1990) un’opera organica e carica di umanità dalla quale ho riportato le note più significative.                                            
                  
                      

giovedì 13 settembre 2012

La Calabresella



Calabresella mia
  
 Il canto tradizionale che segue, nell'antica versione di S. Martino di Taurianova (Reggio Cal.), non ha bisogno di commenti. Ci limitiamo a fornire una semplice traduzione per quanti non conoscono il nostro dialetto. I sentimenti espressi sono puri e i versi si rivelano sinceri come i cuori dei giovani da cui scaturiscono.       La ragazza paragona l'innamorato ad un fiore:
"Nel mio giardino le rose bianche costituiscono tutta una festa di colori, ma fra tanti fiori manca il più bello: manchi tu, garofano d'amore!".
 Di rimando, il giovane così esprime il suo compiacimento:
 "Nel mio giardino le rose rosse creano una festa di colori, ma fra tante rose manca la regina, manchi tu, Calabresella, rosa d'amore!".
 Ed ancora lei: "Se manco soltanto io, il torto è tuo perché non mi hai saputo coltivare: io sto all'ombra ad aspettare il mio sole ed intanto che sono all'ombra rido e canto. Non voglio, però, essere confusa fra le tante, desidero diventare sposa e non amante. Se tu vuoi possedere tutte le rose, cercale in vetrina e non fra quelle d'amore!".
 Interviene il coro: "Calabrisella, fiore d'amore!".
A questo punto l'innamorato ricorda il suo primo incontro:
 "Nina, quando t'ho vista stavi alla fontana a lavare ed il mio cuore s'è colmato di tenerezza: è stato allora che, mentre appendevi i panni alla siepe, io t'ho sottratto il più bel fazzoletto".

 E lei: "Se mi hai sorpresa a lavare, da parte mia ho sognato che mi osservavi. Se mi hai rubato il più bel fazzoletto, in cambio nel cuore mi hai lasciato il più bel fiore".
Interviene il coro: "Calabrisella, rosa d'amore!".

 Il giovane, costretto a partire per gli studi universitari, al rientro in paese si reca dall'innamorata: "Adesso che son tornato dalla città mi guardi, malandrina, e mi sorridi: io abbandonerei il mio dottorato soltanto per avere te vicina!".

 La ragazza non ci pensa due volte: "Se vuoi avermi sempre accanto non hai bisogno di abbandonare il dottorato: va' dal curato e dal mio genitore, diversamente allontanati e non pensarmi più!".
Il coro replica: "Se è vero amore, parlane ai genitori!".

 E' il giovane a concludere: "Ti do il cuore e la fede, parlerò con tuo padre e con tua madre, ma ti dimostrerai ingrata a non credermi. Calabresella mia che ridi e canti, è preferibile una contadina semplice e fine ad una signorina burbera e sgarbata; meglio una graziosa e buona villanella che una signora superba e avvelenata!".
Calabrisella mia

Lei  - Jntra lu me' giardinu rosi janchi
         sbòccianu 'nta 'na festa di culuri,
         ma di' hjuri mi manca lu cchiù bellu:
         mi manchi tu, garòmpulu d'amuri.


Lui  - Jntra lu me' giardinu rosi russi
         sbòccianu 'nta 'na festa di culuri,
         ma di li rosi tu, rigina, manchi,
         Calabrisella mia, rosa d'amuri.


Lei  - Se di li rosi jeu sula ti mancu
         tortu è lu toi chi no' mi curtivasti:
         jeu sugnu all'umbra e aspettu lu me' suli,
         jeu sugnu all'umbra e 'ntantu arridu e cantu.
         Però non vògghiu èssari cu' i tanti:
         vògghiu èssari spusa e non amanti.
         Se tu li rosi li voi tutti quanti,
         cerca hjuri 'i vitrina e non d'amuri.


Coro: Calabrisella mia, Calabrisella mia,
         Calabrisella mia, hjuri d'amuri.


Lui  - Nina, ti vitti all'acqua chi lavavi
         e lu me' cori si linchìu d'amuri:
         quandu li panni a la sipala ampravi,
         jeu t'arrobbai lu mègghiu muccaturi.


Lei  - Tu mi vidisti all'acqua chi lavava,
         jeu ti vitti 'nsonnu e mi guardavi.
         Se m'arrobbasti 'u mègghiu muccaturi,
         m'assasti 'nta lu cori 'u mègghiu hjuri.


Coro: Calabrisella mia, Calabrisella mia,
         Calabrisella mia, rosa d'amuri.


Lui  - Ora chi di la città jeu su' tornatu,
         mi guardi e mi sorridi, malandrina:
         Jeu dassarrìa 'u meu dutturatu
         sulu pe' avìri a ttia sempri vicina.


Lei  - Se voi mu 'nd'hai a mmia sempri vicina,
         non c'è bisognu 'u dassi 'u dutturatu:
         va' e parla cu' me' patri e lu curatu,
         se no' vattindi e non penzari a mmia.


Coro: Se chissu è amuri veru, se jè amuri puru,
         va' e parla cu' me' patri e cu' me' mamma.


Lui  (comparendo)
       - Jeu ti dugnu 'u me' cori e 'a me' fidi,
         jeu parlu cu' to' patri e cu' to' mamma
         e tu 'ngrata assai se no' mi cridi.
         Calabrisella mia, chi canti e arridi.
         Mègghiu 'na contadina bona e fina,
         ca signurina bùrbara e sgarbata;
         mègghiu vedana bona e aggraziata
         ca 'gnura superba e 'mbelenata!


Coro: Calabrisella mia, Calabrisella mia,
         Calabrisella mia, rosa d'amuri!

(Da "Calabria Sconosciuta" - Reggio Calabria - Anno VIII n. 31-32 (Luglio-dicembre 1985).
 Riporto il nostro canto tradizionale per i numerosi lettori che me l'hanno richiesto.

domenica 9 settembre 2012

Salviamo il Castello




                                                                 Ruderi del Castello


Salviamo il Castello
All'inizio del Comune di Taurianova, sotto il nome si legge: «Città d'Arte».
Eppure il suo maggiore patrimonio storico e artistico, sconosciuto alla maggior parte degli abitanti, è il “Castello”.
Sì, proprio nel Comune di Taurianova, ora completamente abbandonato e dimenticato, sorgeva  uno tra i più famosi castelli del Meridione.
Si legge testualmente nell’«Enciclopedia Moderna» dell’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani - vol. IX - pag. 52 ediz. 1949: «Carlo II d’Angiò, detto lo Zoppo - primogenito di Carlo I re di Sicilia nacque nel 1248… nel generale Parlamento tenutosi a S. Martino il 30 marzo 1283 aveva promulgato quei 47 capitoli che sono da considerare come il nucleo fondamentale di tutta la legislazione angioina».
Su Wikipedia troviamo: «Durante la rivolta del 1059 fu scelto da Roberto e Ruggero d'Altavilla come base per la riconquista del territorio e fu proprio nella Piana di San Martino che si svolse la battaglia decisiva a seguito della quale i Normanni ripresero il controllo della Calabria giungendo alla sconfitta finale dei Bizantini e alla prese di Reggio Calabria. La vittoria fu celebrata con il matrimonio di Ruggero d'Altavilla con Giuditta d’Evreux nel Castello di San Martino (1062)».
Nello stesso luogo nel 1285 venne stabilita una convenzione col Sommo Pontefice Onorio IV.
Bene, di questo pezzo di storia vi è traccia ovunque eccetto che nel proprio ambiente dove, anno dopo anno, il tempo e l'uomo erodono le ultime vestigia.
Quanti dei nostri "concittadini d'arte" sono a conoscenza di ciò, quanti si sono recati almeno una volta a vedere i ruderi o vi hanno portato i figli e i nipoti?
Il mio appello è rivolto a coloro che vogliono salvaguardare la nostra storia e le nostre tradizioni, perché facciano sentire la propria voce per la fine di questo degrado e la rivalutazione del Castello.

sabato 8 settembre 2012

Usi, tradizioni e costumi di Calabria

                                        Usi, tradizioni e costumi di Calabria
  
L'opera, stampata di recente per il Gruppo Editoriale "L'Espresso" (ilmiolibro.it) comprende: Ambiente, canti, credenze, curiosità, detti, dizionarietto, magia, proverbi, riti, società, storia, vizi capitali. 
Ed ecco l'indice:

Il canto religioso; /  Devozione a Maria nella Piana di Gioia Tauro; /‘U rivòggiu da Passioni; / La donna; / Il canto d’amore; / La Calabresella; / Li molti vuci; / Il ruolo della famiglia; / Ieri e oggi; / Il Tempo e il calendario agricolo calabrese; / Detti giuridici calabresi; / Detti e proverbi sul lavoro; / Canti e filastrocche; / I vizi capitali; / La superbia; / L’invidia; / L’avarizia; / L’ira; / A’ funtana; / La gola; / L’accidia; / La lussuria; / La crudeltà, ottavo vizio capitale; / Dizionarietto della Piana di Gioia Tauro; /  Detti, proverbi, vezzi e fattaredi.