lunedì 12 novembre 2018

L'Aldilà: dalla Chiesa a Fidani, Natuzza e Dante.


CALABRIA 
L’Aldilà: dalla Chiesa a Fidani, Natuzza e Dante
Riflessione di Domenico Caruso

Redazione - Il 12 novembre 2018

Il filosofo danese Soren Kierkegaard (1813-1855) afferma: «La vita non è un problema da risolvere, ma una realtà da vivere». La nascita è un dono avvolto dal mistero. E’ il primo estremo del segmento tra due oscurità, che termina con la morte. Il mito è il presagio di un’esistenza superiore. Per il cattolico è Cristo la via, la verità e la vita. Il teologo dei Paolini don Aureliano Pacciolla su “Famiglia Cristiana” (27/05/1997) afferma che “un cristiano può accostarsi alla parapsicologia”. Tuttavia va raccomandata “molta prudenza”. Non sono compatibili col Cristianesimo la magia e la superstizione. Con tale premessa, soltanto a scopo culturale e divulgativo, riporto la mia esperienza. Nel 1986 incontrai, all’11° Convegno Nazionale di Parapsicologia di Camerino, il famoso medium e studioso del trascendente Demofilo Fidani (1914-1994). Da quel momento, si aprì per me un nuovo spiraglio sullo spazio che ci attende e sull’esistenza dell’Aldilà. «Conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi». (Gv 8, 32)

La capacità di Gesù di interloquire sempre con ogni uomo, parlandogli al cuore, pone la domanda sulla verità e sulla libertà stabilendo quale nesso sussiste tra di esse affinché ognuno giunga alla felicità. Fidani, grande iniziato alla continua ricerca della verità c’insegnò, a suo modo, ad amare Dio. Nel testamento spirituale del 1994 ha scritto: «La morte fisica non mi fa paura. So perfettamente che il mio spirito continuerà a vivere nell’altra dimensione, ricco delle mie esperienze e con il bagaglio dei miei errori che dovrò correggere e rivedere». «Parlare dell’aldilà implica la ricerca di Dio, ma non si può prendere coscienza di Dio avvalendosene per scopi egoistici e personali. Purtroppo l’uomo si appella a Lui quando ha in gioco interessi materiali che lo coinvolgono direttamente e spesso nasconde, dietro il suo credo, una distratta e convenzionale preghiera, avulsa da qualsiasi contenuto spirituale…». (Da: D. Fidani, “Se ci sei… batti un colpo” -Pubbli.Edi, Palermo – 1990).
Fra le manifestazioni eccezionali, a conferma della medianità di Demofilo, ricordiamo la levitazione, le voci e la scrittura dirette, gli apporti, i viaggi in Astrale. Di quest’ultimo fenomeno è ben nota la “bilocazione Parigi”.
Legato ad una sedia e chiuso in una camera sigillata, con la velocità della luce Demofilo si trovò difronte alla Cattedrale di Nôtre-Dame. In un negozio della piazza comprò diversi oggetti, affrancò e spedì una cartolina. Appena uscito, prese il giornale “Ici Paris”, lo ripiegò e lo mise in tasca. Rientrato e aperto il locale, il medium venne risvegliato. Quindi, scollati i nastri isolanti, lo si vide stretto nella posizione in cui era stato lasciato. Non vi erano impronte nella farina cosparsa a terra, ma vi erano tutti gli oggetti comprati e il resto dei franchi.
La sopravvivenza dell’anima è attestata in numerosi passi dei testi biblici, da Samuele del Vecchio Testamento agli Evangelisti del Nuovo.

Al ladrone pentito in croce Gesù assicura: «In verità ti dico: oggi, sarai con me in paradiso». (Luca 23,43).
In senso cristiano la morte fisica è soltanto un passaggio che Gesù Risorto ha aperto a noi tutti per una vera vita. Lo conferma l’apostolo nella sua prima lettera: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli». (Gv 3,14) Cristo, rispondendo a Marta che piange la morte del fratello Lazzaro, dichiara: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se morisse, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno». (Gv 11, 25-26)
All’udienza generale del 30 ottobre 2013 Papa Francesco espone la realtà molto bella della nostra fede, la “Comunione dei Santi”, vale a dire di coloro che sono incorporati a Cristo nella Chiesa mediante il Battesimo. Detta Comunione va oltre la morte e trova la sua pienezza nella vita eterna. Anche la scienza dimostra che lo spirito non si estingue con la morte, nella quale portiamo le esperienze vissute. L’amore incondizionato regola l’universo e lo stesso funge da legame inscindibile con i nostri cari trapassati.

Per la Chiesa è urgente evangelizzare il senso cristiano della morte, della resurrezione e della Comunione coi fedeli defunti. Gesù esorta l’Apostolo Tommaso: «Perché mi hai visto hai creduto? Beati coloro che hanno creduto senza vedere!». (Gv 20, 29) Pertanto, bisogna diffidare dei movimenti che presumono di comunicare con l’Oltre. Lo stesso vale per la reincarnazione che se ci fosse farebbe venir meno la coscienza della serietà della vita presente e il senso di responsabilità di ognuno. Cristo è risorto, non si è reincarnato. La mistica calabrese Natuzza Evolo (1924-2009) non evocò mai i defunti ma le anime, col permesso del Signore e per loro volontà, comparivano e potevano inviare messaggi ai propri cari. Era l’Angelo Custode ad informare se nell’aldilà le anime avevano bisogno di suffragi. Ebbi l’esperienza personale riguardante nonna Annunziata che mi assicurò di trovarsi in “luogo buono”.
Anche tanti personaggi illustri vollero far sentire la loro voce.
Così Dante Alighieri informò d’aver dovuto scontare ben “trecento anni di Purgatorio”, per aver giudicato le persone nella Divina Commedia in base alle sue simpatie e convinzioni politiche, senza alcuno spirito di carità e amore cristiano (cfr. L. Regolo, Natuzza Evolo – Il miracolo di una vita – Mondadori, 2010). Nei messaggi di Natuzza, il “prato verde” corrisponde ad una sorta di stato intermedio tra il Purgatorio e il Paradiso nel quale, dopo aver pregato, le anime tendono ad entrare per la pace eterna. Il Sommo Poeta, padre della lingua italiana, rappresenta un’intera cultura e può considerarsi contemporaneo per la sua condanna alla cupidigia che affligge la società. Trascorsa la fuggevole visione di Dio, Dante (1265-1321) avverte alla conclusione della Divina Commedia che “l’Amore move il sole e l’altre stelle”. (Par XXXIII, 145)
Nel libro di cui sopra Demofilo Fidani scrive: «Senza timore di sbagliare, posso affermare che Dante è uno dei pochissimi grandi iniziati che abbia a vantare il nostro Paese». Ed ancora: «L’evoluzione del pensiero di Dante si realizza attraverso il suo viaggio nell’oltretomba, condotto dalle sue guide: Virgilio, che gli suggerisce la via della riflessione, Beatrice, quella della rivelazione mistica, San Bernardo, l’estasi spirituale». Nell’opera “Il medium esce dal mistero”, Fidani ci fa sapere d’aver conosciuto e sperimentato le straordinarie doti di Bice Valbonesi (1890-1972).
Fra le conoscenze dell’ultrafana vi fu Gabriele D’Annunzio che l’accolse con entusiasmo al “Vittoriale” ed al quale la “voce” gli dettò: “A Gabriele”.
«Profetico miraggio è ne l’essenza / che ascosa pulsa in profonditade, / scintilla, a fòco, esce di semenza; / ché lo saper ti porta a veritade / di que’ decreti, mossi da giustizia, / in puro cielo di eternitade. / Odi la voce, pregna di mestizia, / che: – Gabriel, sussurra in certe ore, / surgere fuora da la iniquizia. / Annuntio est, inciso è ne lo core: / ardon li petti di desiri vivi: / accogli l’eco di lontano amore». (Da: “D’Annunzio e i fenomeni medianici” – Domenica del Corriere del 24/07/1938).
Nel libro “La Vita” – Ultrafanie – dell’avv. Gino Trespioli (Sonzogno – Milano, 1939) si evince anche la medianità di Dante che a domanda risponde d’essere stato in Francia: «Rivolsi i passi miei in terra galla / prima ch’io fossi da Fiorenza tolto / sì come verme che talora ingialla». L’apostrofe contro Roma della “Divina Commedia” non si è spenta: «Ripeto: guai a voi, o gente prava, / che ancor girate col forzier di Pietro; / andate lesti come il Cristo andava!».

Per il filosofo Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65):
«La vecchiaia segue la giovinezza, e la morte la vecchiaia. Se uno non vuole morire, non vuole vivere».
Non si ha paura della morte quando si rimane in Cristo:
«Non amate il mondo né ciò che vi è nel mondo. Se uno ama il mondo, in lui non c’è l’amore del Padre. Poiché tutto ciò che vi è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, lo sfarzo della ricchezza, non è dal Padre ma dal mondo. Il mondo passa e così la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno». (1Gv, 2:15-17)

Ecco la meditazione (A te che piangi i tuoi morti, ascolta) del gesuita Padre Giacomo Perico (1911-2000) ai piedi del letto di morte del genitore:
«Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo;
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinita bontà
e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo, quanto piccole e fuggevoli
al confronto!».

http://www.approdonews.it/giornale/?p=321557


sabato 10 novembre 2018

Malattia e trapasso di S. Martino di Tours


Malattia e trapasso di San Martino di Tours -
Ecco la storia del Santo in vista dei festeggiamenti nella frazione di Taurianova

Redazione - Il 10 novembre 2018
Sulpicio, oltre alla Vita e ai Dialoghi, ha scritto tre Lettere (Epistulae) fra il 397 e il 398 – che riferiscono nuovi episodi e in particolare la morte e i funerali di Martino. Nella Lettera indirizzata a Bassula descrive l’ultima ora, quella della verità e della luce, di cui il santo vescovo ebbe la premonizione.
Egli avrebbe desiderato concludere serenamente la sua laboriosa esistenza nel monastero, ma un duro compito l’attendeva a Candes.
Pertanto, all’inizio di novembre del 397, accompagnato da una schiera di discepoli si mise in cammino per sedare la diatriba accesa fra i monaci di una parrocchia da lui fondata. Costeggiando la Loira, all’improvviso notò una frotta di svassi (rapaci) che ingoiavano del pesce, “senza mai essere sazi di divorare”.
Paragonandoli ai demoni, alzò la voce e comandò ad essi di lasciare il fiume.
Giunto a Candes, ristabilì la pace tra i fratelli, prima di convocarli per annunciare la sua prossima fine. Visse, così, gli ultimi giorni con una febbre ardente, stremato dalla fatica e dalla penitenza.
Chiese, quindi, di venire disteso al suolo, sopra un letto di cenere e un cilicio, coperto di una ruvida pelle di capra.
Ai discepoli, che tentavano di rendergli meno scomoda la morte, esortò:
«Io, se vi lasciassi un altro esempio, avrei peccato!».
Comunque, Martino dovette subire gli ammonimenti dei fratelli:
«Padre, perché ci abbandoni? A chi ci lasci, tutti soli? Sul tuo gregge, lupi rapaci stanno per scagliarsi, e chi ci scamperà dal loro morso se il pastore è raggiunto per primo?» (Dalle Lettere).
I monaci stessi si diedero una risposta alla domanda: «Sappiamo bene che il tuo unico desiderio è Cristo, ma le tue ricompense sono garantite: non diminuiranno se verranno ritardate. Piuttosto abbi pietà di noi che tu abbandoni!».
Martino, commosso e piangente, pregò ad alta voce:
«Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non rifiuto il compito: sia fatta la tua volontà».
E ribadì l’invocazione al Signore, concludendo:
«Ma se tu avrai compassione della mia tarda età, è un bene della tua volontà! Quanto a loro, per i quali ho paura, tu li custodirai! …».
E’ l’atteggiamento descritto dall’antica formula: Nec mori timuit, nec vivere recusavit. (Egli non ha paura di morire, ma non ha il rifiuto di vivere).
E si spense con gli occhi aperti e le mani protese in alto.
Ai sacerdoti che, giunti a trovarlo, tentavano di cambiargli posizione per alleggerire il corpo, ebbe la forza di aggiungere:
«Lasciatemi, fratelli, lasciatemi osservare il cielo più che la terra, per mettere sin da ora la mia anima rivolta verso il cammino che il Signore mi ha preparato».
Nell’ora estrema, per l’ultima volta, al diavolo che si presentò al capezzale si sforzò a redarguire: «Perché sei qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me che ti appartiene, maledetto!»
Gli astanti ascoltavano sbigottiti, senza veder nulla e Martino, abbassando la voce sospirò: «E’ il grembo di Adamo che sta per ricevermi».
Nel pronunciare queste parole, rese la candida anima a Dio, mentre il suo volto appariva trasfigurato e splendente in modo soprannaturale.
Era la domenica 8 novembre del 397.
[…] La notizia della morte di Martino si propagò dovunque. Dai diversi punti del territorio accorse una gran folla attorno al presbitero di Candes.
Gli abitanti di Tours e quelli di Poitiers si contendevano la salma.
Come riporta nel VI secolo lo storico Gregorio di Tours, sopraggiunta la notte, furono chiuse a chiave le porte della camera in cui riposava Martino, guardata a vista dai due partiti. Ma nell’ora tarda, approfittando della circostanza che i rivali si assopivano uno dopo l’altro, quelli di Tours diedero il segnale ai compatrioti che vigilavano al di fuori e, senza strepito, calarono dalla finestra il corpo del loro vescovo. Quindi lo deposero sopra un battello che, dalle acque della Vienne, passava nel letto della Loira. Furono intese, allora, alcune voci intonare un cantico, alle quali risposero altre migliaia dal fiume e dalle sponde.
Quell’armonia svegliò i cittadini di Poitiers che credettero di sognare nell’ammirare anche la Loira illuminata dalla luce di innumerevoli ceri che si rifletteva nelle acque.
Pertanto, decisero di fare ritorno alle loro case.
Il beato fu ricondotto a Tours per un funerale degno dell’amore che i popoli gli tributavano. Si dice che, al gran numero di fedeli, si aggiungessero le vergini in lacrime e quasi duemila monaci accorsi da ogni parte. Lo storico, più che di un funerale, parla di un vero trionfo. […]
Istituita la festa per l’11 novembre anniversario dei funerali, per i Francesi a buon diritto il culto divenne nazionale.
(Estratto dal libro di Domenico Caruso: Martino di Tours – Il Santo della Carità – Centro Studi “S. Martino” – S Martino (RC) – Novembre 2007.
http://www.approdonews.it/giornale/?p=321331