La Calabria e la politica di Dante nella "Divina Commedia"
Dante, nella sua grandiosa opera,
dimostra di conoscere ed apprezza la nostra Terra.
Paragoni e personaggi lo confermano. Nell’Inferno
avari e prodighi si percuotono il petto come le onde sopra gli scogli di
Cariddi, nello Stretto di Messina, che si frangono scontrandosi con quelle di
Scilla:
«Come fa l'onda là sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s'intoppa,
così convien che qui la gente riddi». (Inf. VII, 22-24)
Nel terzo canto del Purgatorio il
protagonista, Manfredi d’Altavilla (1232-1266), è vittima della politica
temporale del Papato. Per il poeta il re di Sicilia e suo padre Federico II
rappresentano gli ultimi veri principi italiani. Il coraggioso giovane
normanno-svevo, cadde eroicamente nella sfida a Benevento contro Carlo d’Angiò
(incoronato re di Sicilia). Il cardinale cosentino Bartolomeo Pignatelli, su
ordine del Pontefice Clemente IV infierì sul cadavere che, disseppellito dal
tumulo eretto dalla pietà dei soldati, senza cerimonie religiose fu gettato sulle
rive del Garigliano in balia della pioggia e del vento.
Manfredi, riconosciuto dal suo fisico
(“Biondo era e bello e di gentile aspetto”)
- Purg. III, 107), asserisce:
«Se il pastor di
Cosenza, che alla caccia
di me fu messo per Clemente, allora
avesse in Dio ben letta questa faccia,
l'ossa del corpo mio
sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia della grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il
vento
di fuor dal regno, quasi lungo il Verde,
dov'è le trasmutò a lume spento». (Purg. III, 124-132)
Carlo Martello (1271-1295), figlio di
Carlo II d’Angiò detto lo Zoppo (1254-1309) è collocato da Dante tra gli
spiriti amanti del III Cielo di Venere.
Il giusto principe, morto anzitempo,
nell’indicare le regioni di cui sarebbero stati sovrani i suoi discendenti se
il malgoverno angioino non avesse suscitato la rivolta dei Vespri (1292), ricorda
quella parte estrema d’Italia che ha fra le sue città Catona in provincia di
Reggio Calabria:
«[…] quel corno d'Ausonia che s'imborga
di Bari, di Gaeta e di Catona
da ove Tronto e Verde in mare sgorga». (Par. VIII, 61-63)
Nel Paradiso figura l’abate cosentino
Gioacchino da Fiore (1130-1202), teologo e scrittore, profeta di un grandioso
rinnovamento, che la Chiesa venera come beato:
«il calavrese abate Giovacchino,
di spirito profetico dotato». (Par. XII, 140-141)
Secondo il francescano P. Raniero
Cantalamessa, presbitero e teologo:
«La storia sacra ha tre fasi. Nella
prima, l´Antico Testamento, si è rivelato il Padre. Nella seconda, il Nuovo
Testamento, si è rivelato il Cristo. Ora siamo nella terza fase, quando lo
Spirito Santo brilla in tutta la sua luce e anima l´esperienza della Chiesa». La
venuta di una terza e ultima età del mondo, quella dello Spirito Santo, è la
profezia di Gioacchino.
La tematica politica di Dante si
sviluppa nelle tre cantiche.
Nell’Inferno (III Cerchio - golosi) Ciacco (banchiere fiorentino) condanna
la situazione di Firenze, indicando le cause delle divisioni in superbia,
invidia e avarizia:
Ed elli a me: «La tua città, ch'è piena
d'invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, alla pioggia mi fiacco. (VI, 49-54)
«Giusti
son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c'hanno i cuori accesi». (VI, 73-75)
Nel Purgatorio (Antipurgatorio, II Balzo
- negligenti), col trovatore Sordello da Goito, anima solitaria e sdegnosa, vi
è la violenta invettiva all’Italia ed a Firenze:
[…] «O Mantoano, io son
Sordello
della tua terra!»; e l'un l'altro abbracciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!» (VI, 74-78)
Nel Paradiso (II Cielo - Mercurio:
Spiriti operanti per la gloria terrena) vi è l’incontro con Giustiniano,
simbolo della Legge terrena che risponde ai principi della Legge eterna di Dio.
La prima opera dell’imperatore ideale bizantino fu la redazione del codice
delle leggi romane per il mantenimento dell’ordine civile nel mondo.
A lui è dedicato l’intero canto:
«Cesare fui e son Iustiniano,
che, per voler del primo amor ch'i' sento,
d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano». (Par. VI, 10-12)
Il lato feroce del carattere di Dante
si rivela all’incontro di personaggi crudeli, come verso le città che hanno
dato un cattivo esempio al mondo.
La prima invettiva è rivolta alla
città di Pisa che ha permesso la straziante fine del Conte Ugolino della Gherardesca (1210-1289) assieme a due figli e
due nipoti:
«Ahi Pisa, vituperio de le
genti
del bel paese là dove ’l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona!». (Inf. XXXIII, 79-84)
Fra i traditori, Dante pone
nell’Inferno Branca Doria ancor vivo, reo d’aver fatto assassinare il suocero
per impossessarsi dei suoi beni. Da qui l’invettiva:
«Ahi Genovesi, uomini diversi
d’ogne costume e pien d’ogni magagna,
perché non siete voi del mondo spersi?» (Inf.
XXIII, 151-153)
Anche
verso le altre città (Siena, Pistoia, Lucca, Bologna, Padova) il poeta si sente
superiore.
Tutta la
Nazione è da biasimare:
«Ché le città d'Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene». (Purg. VI, 124-126)
Dante
manifesta la speranza di un trionfale ritorno a Firenze che lo ripaghi del lungo
esilio e gli ottenga la corona poetica per la sua opera:
«Se mai continga che ’l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m'ha fatto per molti anni macro,
vinca
la crudeltà che fuor mi serra
del bello ovile ov' io dormi' agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra;
con
altra voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, ed in sul fonte
del mio battesmo prenderò ’l cappello». (Par. XXV, 1-9)
Ma soltanto dopo il trapasso la sua
opera sarà diffusa.
E, con un messaggio medianico, ritorna
per esortarci ad essere forti contro il male se vogliamo la salvezza eterna:
«O popol che t’appresti al grande
passo
per superar la soglia della morte
non cadere nel tragico collasso
de li peccata e fa che tu sia
forte:
vicin ti guata il demone maligno
perché diventi sua la tua mal sorte,
fuggi quindi l’invito e quinci il
ghigno
acciocché tu possa salir festoso
nel Regno di Colui giusto e benigno».
(Dante Alighieri (post-mortem): “Dalla
Terra al Cielo” - Centro Studi Metapsichici di Camerino - 1988 - Canto I,
1-9).
https://www.riflessioni.it/lettereonline/calabria-e-politica-di-dante-nella-divina-commedia.htm